Eternità è luogo comune associarla alla vita senza morte. Una vita senza morte, però, perde significato e diventa un’idea astratta, da riferire solo a Dio o a storie fantascientifiche.
Eternità associata all’anima diventa una parola “dolce”, l’arma segreta della nostra umanità.
Sappiamo che la vita è scandita dal tempo e ciò ci addolora. Non possiamo fermare il tempo, specialmente quando ci passa inutilmente, quando trascorre per attività che non ci piacciono, quando vediamo sul nostro viso i segni dell’età che avanza, quando, sollevandoci da una sedia, i movimenti si rallentano.
Il tempo lo vediamo come consapevolezza di un percorso.
Ci concentriamo sulla tratta, non sul protagonista del percorso.
Se immaginiamo per un attimo di godere di un’azione, inevitabilmente non pensiamo più al percorso che stiamo facendo e, se il piacere dell’azione in corso, come in una favola non terminasse mai, non potremmo più avere la consapevolezza della fine del percorso. Non potremmo sapere quando l’azione è iniziata e quando finirà. In questa situazione l’anima fa esperienza dell’eternità.
Se in ogni esperienza di vita riesco a non dare significato alle parole “prima” e “dopo”, il tempo per l’anima si ferma.
La nostalgia è un autocompiacimento, è la celebrazione di ciò che è successo ieri. Essa occupa il presente imponendomi il “dopo”, del quale, inesorabilmente mi fa prendere coscienza.
La coscienza del “dopo” presuppone una fine ineluttabile.
Il giovane è così inebriato da ciò che il fisico gli permette, che interpreta il “dopo” come prolungamento di “questo momento”, per cui è continuamente impegnato nella foga della vita dove il tempo è solo dilatazione infinita del momento.
Il tempo è nei secondi, minuti, ore, forse giorni, probabili anni, indefiniti decenni e infine insignificanti secoli.
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