
Intorno alla metà del XII secolo, si verificò un cambiamento decisivo nella concezione e nell'uso dei libri. Tutti i libri nel Medioevo erano manoscritti che avevano un significato "contemplativo". Fu questo profondo significato del libro come oggetto, che andò perduto in favore di un modo completamente diverso di intendere lo stesso oggetto, ad anticipare in modo spettacolare molti aspetti della rivoluzione della stampa.
Prima dell'epoca di Ugo, le pagine erano fatte di pergamena anziché di carta, decorate con una grafia elaborata e accompagnate da illustrazioni ed elementi decorativi.
Un libro era essenzialmente una trascrizione delle parole di un autore, incise da uno scriba. Queste parole erano inseparabili dal testo che intendevano commentare e il libro era visto come uditivo piuttosto che visivo.
I custodi di questo paradigma erano i monaci che, nei confini dei loro scriptoria monastici, trascrivevano, leggevano e copiavano diligentemente i testi sacri e quelli dei Padri della Chiesa. L'esperienza del libro prima del XII secolo era essenzialmente quella di un "codice", un oggetto molto diverso dal concetto contemporaneo di libro.
L'esperienza di leggere una pagina di un libro medievale era di per sé un'esperienza estetica, paragonabile a ciò che si può rivivere la mattina presto nelle chiese gotiche che hanno conservato le loro vetrate originali: quando sorge il sole, fa rivivere i colori delle vetrate che prima dell'alba sembravano un semplice riempimento degli archi di pietra.
L'atto della lettura era spesso paragonato a una passeggiata in una vigna, selezionando ciò che la pagina offriva alla contemplazione della mente. Era, in effetti, un viaggio "attraverso" la pagina, dove il tempo impiegato era secondario rispetto al valore delle verità che venivano gradualmente, quasi fisicamente, riconosciute e assaporate dal lettore.
Di conseguenza, i maestri sottolineavano ripetutamente l'importanza della pazienza e la necessità di assaporare le verità contenute nei codici. Anche in assenza di lettura ad alta voce a un'altra persona, il monaco ripeteva a se stesso le frasi latine che riusciva a discernere sulla pagina. Sebbene la pratica della lettura silenziosa esistesse già prima, non era un'attività quotidiana. Sant'Agostino parla con ammirazione del suo maestro, Sant'Ambrogio di Milano, che occasionalmente leggeva un libro senza muovere le labbra.
Il monaco che legge, con l'atto stesso della lettura, crea un ambiente uditivo pubblico in cui tutti sono uguali di fronte al suono delle parole (un po' come tutti sono uguali di fronte al suono di una campana). Anche coloro che leggevano in solitudine erano tenuti a vocalizzare le parole che leggevano, creando una fusione inestricabile tra lettura, vocalizzazione e ascolto, come se il libro fosse intrinsecamente progettato per essere letto ad alta voce, a un'altra persona (che poteva essere lo stesso lettore se non c'era nessun altro in giro).
Ma se "leggere" nel Medioevo significava soprattutto "ascoltare", a chi stavano ascoltando i monaci, dal momento che erano gli unici, o quasi gli unici, a sapere leggere a quel tempo? Dio, naturalmente, che ha parlato loro attraverso la natura (il primo "libro"), poi attraverso la Bibbia e infine attraverso tutti i libri che, in un modo o nell'altro, hanno mostrato loro la via della salvezza.
In un certo senso, una pagina miniata era qualcosa di simile a un'icona nel cristianesimo ortodosso: un sermone in forma di immagine. Nei monasteri, quindi, la lettura era sempre considerata sacra perché serviva a proclamare pubblicamente un episodio nella storia della salvezza. Il libro, come mezzo fisico attraverso cui veniva fatta questa sacra proclamazione, divenne anche un oggetto sacro.
Fino all'epoca di Ugo, leggere un libro era sempre concepito e vissuto come ascoltare la parola, anche se la parola era scritta piuttosto che parlata o recitata. Il libro era parte di un'esperienza "acustica" piuttosto che visiva. Dalla seconda metà del XII secolo, tuttavia, ci fu un cambiamento nel modo in cui le persone leggevano, allontanandosi dalla lettura con la lingua e le orecchie.
Invece, i segni incisi sulla pagina erano percepiti non come stimoli per i suoni, ma piuttosto come simboli visivi di concetti. Il libro non era più considerato una vigna, un giardino o un territorio per un pellegrinaggio avventuroso. Invece, era come un tesoro, una miniera o un magazzino.
Entro la metà del XII secolo, tuttavia, si verificò un cambiamento significativo, sia nell'esperienza della lettura che nel concetto di libro. Furono richieste alcune condizioni materiali:
Un nuovo materiale di supporto, la carta, che era molto più economica della pergamena.
Fu anche necessario sviluppare un nuovo tipo di inchiostro, basato su una soluzione di sale metallico e tannino, una sostanza ottenuta facendo bollire la corteccia di quercia o le ghiande. Quando si asciugava, agiva come un mordente, fissando il pigmento alla carta.
Fu necessario trovare un nuovo metodo per tagliare e rilegare i fogli di carta in modo che potessero essere facilmente trasportati.
Ma la sola disponibilità di materiale non è sufficiente per utilizzare una tecnologia; deve esserci anche una domanda sociale. Questo cambiamento è solo una sfaccettatura di un più ampio e pervasivo cambiamento culturale che portò gli europei del periodo a cercare, o addirittura imporre, un nuovo ordine a quello esistente.
La ricerca del dominio e dell'ordine mondiale divenne una caratteristica fondamentale della cultura europea.
Questa nuova ambizione si manifestò in molte discipline (ad esempio, la cartografia), ma fu più pronunciata nel campo della scrittura, dove una pletora di nuovi strumenti e pratiche emerse nel giro di pochi anni:
-Il testo era scritto in caratteri più piccoli.
-Era diviso in capitoli e paragrafi.
-Titoli e riassunti apparivano all'inizio dei capitoli per aiutare il lettore a trovare rapidamente un argomento di interesse.
-Indici alfabetici venivano utilizzati per organizzare il materiale contenuto nei testi.
Quest'ultimo dettaglio è particolarmente istruttivo, dato che l'alfabeto fonetico esisteva da quasi due millenni (e l'alfabeto latino da ben oltre un millennio), e tuttavia nessuno aveva pensato di usarlo come strumento per archiviare e quindi trovare informazioni.
In ogni caso, il libro era diventato un mero strumento di comunicazione e razionalità piuttosto che un luogo di epifania e contemplazione.
La conseguenza di questo sviluppo fu che, molto prima dell'avvento della stampa, la pagina fu creata come la intendiamo noi, come l'esteriorizzazione e la concretizzazione di un pensiero che è in qualche modo reso "visibile" dalla stessa divisione della struttura in paragrafi, titoli, rientri e note nei margini o in fondo alla pagina. Da questo punto di vista, l'avvento dei caratteri mobili e della stampa intorno alla metà del XV secolo servì semplicemente a meccanizzare e produrre in serie un processo e un oggetto che esistevano già da secoli.
Di conseguenza, gli intellettuali iniziarono a usare i libri non come mezzo per la riflessione personale e privata sulla storia della salvezza, ma come una risorsa da riutilizzare e ricombinare per creare nuovi testi.
La pagina divenne così il mezzo attraverso cui la mente poteva articolare il suo ragionamento, meticolosamente suddiviso in punti e sotto-punti, fornendo così una base ideale per le riflessioni personali e solitarie dei filosofi scolastici.
L'invenzione della stampa non fece molto per migliorare l'ordine mentale inventato dai monaci cristiani a metà del XII secolo.