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Capo, potrei avere un aumento?


 
La prima volta che ho chiesto un aumento è stato al mio lavoro part-time all’inizio di carriera. Facevo quel lavoro da sei mesi e pensavo che fosse arrivato il momento di avvicinarmi un po’ di più agli stipendi dei miei colleghi. Pensai che valesse la pena chiedere comunque. Dopotutto, servivano solo pochi minuti per avanzare la proposta senza perderci nulla.

Mi ci sono volute due settimane per trovare il coraggio di farlo. Cosa avrei dovuto dire? Forse è meglio essere semplici e diretti con "Potrei avere un aumento?". Altrimenti, c'era un alto rischio che iniziassi a blaterare. Poi mi sarei imbarazzato e avrei perso sicurezza e la situazione sarebbe potuta diventare imbarazzante. Un giorno prima di una riunione di squadra, arrivai presto al laboratorio informatico (all'epoca ero di supporto ai programmatori esperti) e così ebbi un momento privato con il mio capo.

"Capo, potrei avere un aumento?" Dissi di getto.

"Perché me lo chiedi?"

"Oh. Bella domanda... lasciatemi spiegare."

Avevo alcune ragioni in testa ed ero pronto a recitarle subito. Ero stato assunto in un momento in cui tutti i colleghi erano impegnati al massimo nello sviluppo di un software specialistico per cui nessuno poteva perdere tempo con me per l’affiancamento. Allora approfittai per studiarmi a fondo le proprietà di uno dei primi sistemi operativi multiutente  (SOS – Systime Oparting System) in uso nei calcolatori dell’azienda. In pochi mesi diventai espertissimo; avevo imparato trucchi e scorciatoie che altrimenti, senza l’isolamento dal lavoro di gruppo, non avrei avuto la possibilità di scoprire.

"Ok capo, merito un aumento per due motivi. Primo, perché sono stato puntuale in adempiere i miei compiti. Secondo, perché sono diventato il consulente per tutti i segreti del sistema operativo in uso nei nostri computer. Non ero obbligato a offrire la mia completa diponibilità, ma non volevo deludere il mio team perché ci tenevo alla loro amicizia, quindi ho impiegato tempo e impegno extra per tenerli informati e aggiornati su tutte le possibilità di interazione degli applicativi con le routine di sistema."

"Hmm. Va bene. Ci penserò."

Due settimane dopo, ebbi l'aumento! E piuttosto consistente!

Ero così orgoglioso di me stesso. Avevo corso un rischio ed ero stato ricompensato per essermi impegnato di più. Ho portato avanti questa lezione con me per tutta la mia carriera e da quel giorno ho negoziato con successo altri aumenti e promozioni nel laboratorio informatico. La parte più divertente della situazione fu quando chiesi al mio capo se concedeva spesso aumenti ai miei colleghi. "Lo avrei fatto", mi rispose, ma nessuno glielo aveva mai chiesto prima di me. Rimasi stupito e sorpreso della sua risposta. Però, mi diventava sempre meno sorprendente quanto più ci pensavo. Sapevo che molte persone o non pensavano di chiedere di più, o lo facevano ma non riuscivano a trovare il coraggio. Quel giorno imparai una lezione preziosa: chiedere di più per me stesso.

La sicurezza è sapere di non avere tutte le risposte, ma essere abbastanza sicuro di poterle capire.

Non sono sempre stato così sicuro di me al lavoro. Soffrivo della sindrome dell'impostore e di ansia da prestazione. Mi chiedevo se meritassi il lavoro che avevo ottenuto o se fosse un errore che il mio responsabile stava trascurando. L'ansia mi travolgeva all'istante quando mi veniva chiesto di svolgere un compito per il quale mi sentivo impreparato. Mi innervosivo quando mi veniva detto che dovevo gestire un compito da solo. Avevo paura di esprimere le mie opinioni al lavoro e di fare domande, lasciandomi sfuggire molte occasioni di esprimermi o aspettando fino all'ultimo minuto in una riunione per dare il mio contributo. Ci sono stati alcuni casi in cui i manager hanno saltato le riunioni con me. Il mio cuore iniziava a battere più velocemente prima di ogni presentazione pubblica che facevo. Avevo le stesse paure di tutti gli altri: la paura di fallire e di non soddisfare le aspettative dei miei colleghi o clienti. Avevo paura di commettere errori e di essere criticato per loro. Mi aspettavo ancora che qualcuno mi urlasse contro quando commettevo errori, come succedeva da piccolo.

Ero costantemente tormentato da un senso di panico e da voci interiori critiche e paralizzanti in un lavoro. Era una voce peggiorativa che metteva in discussione la mia etica del lavoro, la mia competenza, il mio valore per l'azienda e il mio trattamento all'interno dell'azienda. Mi faceva sentire piccolo. I miei dubbi su me stesso deformavano il mio senso della realtà, immaginando gli scenari peggiori e smorzando la mia autostima, il che portava a prestazioni inferiori. Queste voci interiori critiche sono la manifestazione inconscia della mia ansia, delle mie supposizioni disfunzionali e delle mie convinzioni negative su me stesso. Non è stato facile superare la mia voce interiore critica, ma uno dei primi passi che ho fatto è stato identificare quando parla e realizzare che non è il mio vero io a parlare. È la voce delle mie paure e dei miei dubbi. Una volta capito che non rappresentava i miei veri sentimenti, ho potuto iniziare a separarla ed esteriorizzarla. Ho potuto iniziare ad affrontarla e a contrastare le sue affermazioni negative.

Una parte del raggiungimento della felicità e della maturità implica l'alterazione delle nostre voci interiori, il che significa incontrare varietà di voci ugualmente convincenti e sicure, ma anche utili e costruttive, per lunghi periodi e prendersi cura di interiorizzarle. Dobbiamo sentirle abbastanza spesso e su questioni abbastanza difficili da farle diventare risposte normali e naturali, così che alla fine, arrivino a sembrare cose che stiamo dicendo a noi stessi. Diventeranno i nostri pensieri.

 

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